venerdì 3 giugno 2011

DA QUATTRO ANNI SPOSATA CON LA TERRA

Tratto dalla Newsletter di Maria e Carolina, le due laiche italiane che stanno vivendo qui a Cidade Olimpica con noi e i padri. Esperienza, quella raccontata da Maria, vissuta dalle stesse Maria e Carolina, con la Chicca e Irmã (suor) Lu.
Scrive Maria

In questo mese, con Francesca, abbiamo avuto la possibilità di conoscere due diverse realtà di una cittadina, Pirapemas, nell’interno del Maranhão…

DA QUATTRO ANNI SPOSATA CON LA TERRA”
Dico Brasile e il pensiero dei più, dopo essere andato a Ronaldinho e Kakà, ai prossimi
mondiali di calcio, alle spiagge di Rio e alle favelas di São Paulo, ricorre, quasi immediatamente, al problema enorme e mai risolto della terra, alla lotta dei camponêses (coltivatori della terra) e dei sem terra (senza terra) schiacciati dagli interessi dei grandi fazendeiros e delle multinazionali.
L’immaginazione va ai romanzi di Jorge Amado, alle descrizioni delle “terre del finimondo”,
alle piantagioni di cacao della sua regione baiana: storie di fazendeiros e jagunços (sicari),
di terre strappate ai piccoli coltivatori, di lotte tra grandi proprietari, di schiavitù e di sfruttamento. Racconti di una foresta nemica che va domata e addomesticata, bruciata e coltivata per lasciare spazio alle grandi coltivazioni, promessa di denaro e potere per alcuni, illusione di riscatto e mietitrice di vite per altri: ecco ciò che Amado descriveva all’inizio del 1900. Ebbene, tutto ciò sembra ripetersi in Brasile oggi, a un secolo di distanza, con le stesse modalità e “regole”, senza rispetto alcuno per la dignità della vita
umana né per i delicati equilibri ambientali che governano il pianeta.
Con Carolina e Francesca abbiamo avuto la possibilità di viaggiare e visitare una piccola
città della zona interna del paese, dell’interior, per conoscere da vicino la realtà di “Sitio Raizes”, un progetto agro-biologico iniziato da qualche anno per iniziativa di Martin, che è
un volontario tedesco e membro della Pastorale della terra, e dona Lucymar, che è brasiliana, coltivatrice della terra e profonda conoscitrice del mato (foresta preamazzonica).

Ad accompagnarci irmã Lu, giovane suora dell’ordine delle “Irmãs de Notre Dame de Namur”, che segue da vicino la problematica dei sem terra.
La nostra esperienza è stata molto breve e voglio qui semplicemente raccontare e condividere quel che abbiamo visto e ascoltato, credo che una volta entrati, è impossibile chiudere gli occhi di fronte ad alcune realtà e non fare proprie le cause di chi lotta ogni giorno per difendere i propri diritti e la dignità dell’essere umano.

“Sitio Raizes” si trova immersa nel mato in prossimità della città di Pirapemas su un terreno della prefeitura (municipio): arriviamo, dopo tre ore di viaggio in pulmino e un quarto d’ora a piedi. Ad accoglierci nella sua casa di taipa (fatta di terra) troviamo dona Lucymar e Martin insieme ad un’ amica arrivata da qualche giorno da Berlino.
Il cibo sta cucinando e abbiamo il tempo per visitare brevemente l’”orto” e vedere una grande varietà di piante di cui non sapevamo neppure l’esistenza. Subito, ci viene “presentata” la chaya che è una pianta del mato di cui Martin e dona Lucymar hanno scoperto grandi proprietà nutritive: irmã Lu ci spiega che stanno cercando di promuoverne la coltivazione per l’uso alimentare e terapeutico.
Durante il pranzo cominciamo a capire il grande lavoro e l’enorme passione che hanno accompagnato la nascita di questo luogo e che traspaiono dall’amore con cui le persone che incontriamo ci parlano. L’idea del “Sitio” è nata con l’intenzione di creare un luogo in
cui si coltivasse la terra rispettandola e producendo l’indispensabile per vivere e vivere bene. “Da quattro anni sono sposata con la terra e farò di tutto per difenderla”: questo ci
dice dona Lucymar con grande convinzione, e un po’ di pelle d’oca viene a tutte e tre.

Nel pomeriggio sistemiamo le nostre amache, ci riposiamo e facciamo un giro di conoscenza del luogo: il progetto comprende alcune famiglie che vivono o stanno per trasferirsi in questo terreno. Procediamo camminando in mezzo alla vegetazione. Ogni tanto ci fermiamo: quello che a occhi estranei e ignoranti appare come semplice mato è, in realtà, una coltivazione. Una pianta di acerola cresce a fianco ad una di vinagreira; laggiù puoi vedere gli abacaxì (ananas) e poco più in là la pianta di noni, che è giapponese ma che qui cresce benissimo. Le alte piante di milho (per noi di mais) fanno ombra alle piccole di fagiolo, e nell’orto puoi trovare almeno quattro tipi di pimenta (peperoncino). Ad un certo punto comincia a piovere e ci rifugiamo sotto una casa in costruzione: parliamo del coco babaçu, del vermicello che nasce al suo interno (vedi foto qui sopra) e che, sembra, sia molto buono quando viene fritto. Nutriamo qualche occidentale dubbio, ma ci fidiamo.

Terminata la pioggia ritorniamo a casa dove ci aspetta una bella doccia, logicamente fatta all’aria aperta sotto un cielo che, ahimè, non permette di vedere le stelle, e una ottima cena. Alle sei è già buio e quando è ora di andare a dormire pare di essere ormai nella notte più fonda.

Il giorno seguente, dopo una buona colazione, irmã Lu chiama un paio di mototaxi che ci portano fino in città dove ascoltiamo i racconti di donne e uomini che conoscono questi luoghi prima ancora che, negli anni ’50, arrivasse il treno che dall’interno del paese porta le materie prime verso il porto di São Luis.
Sono le storie dei discendenti degli schiavi che, terminata la schiavitù (ufficialmente nel 1888, ma che qui nel Maranhão ritardò di qualche anno) conquistarono la proprietà delle terre dove lavoravano. Terre da cui, negli anni, sono stati espulsi! Terreni che i fazendeiros vogliono per i loro pascoli e coltivazioni e che, anche a costo di sangue, sono determinati ad ottenere. Allora diventa importante dimostrare che quell’albero di mango lo aveva piantato proprio “mio nonno” o “mio zio”: perché se così fosse, allora è chiaro che il terreno è di “mia proprietà”. Eh sì, ma il problema è che “qualcuno” è arrivato e ha bruciato tutto…come posso dimostrare che la terra dove abito e che mi dà da vivere è mia e prima era dei miei antenati se non ci sono certificati di proprietà?
Poi, sono la corruzione e il potere arrogante a fare il resto.
I volti e gli occhi che ci parlano chiedono solo di non essere dimenticati: questo è sufficiente per non sentirsi abbandonati nella lotta, per continuare a resistere senza perdere il coraggio e la forza.
Torniamo al “Sitio” sotto un sole battente: per fortuna il viaggio in moto rinfresca e ci fa
respirare ancora un po’ la buona aria di mato e foresta. Ci attende la comida (il pasto): riso, fagioli, alcune coscette di pollo e palmito. Sistemiamo le ultime cose nello zaino e ci incamminiamo con calma a prendere il nostro pulmino.
Salutiamo tutti, sicure che ci sarà una prossima volta e che torneremo per vedere
queste meraviglie durante la stagione secca, magari per trascorrere un po’ più di giorni
con loro.

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